La cucina innovativa nel cuore della tradizione
Quando interagisci con l’arte in cucina hai sempre quella forte stima e ammirazione verso la professionalità di chi la realizza. Talvolta, nel leggere le interviste vi è quello scambio emotivo che emerge da uno scritto, semplice, diretto ma velato da un austero rispetto. Questo è ciò che caratterizza maggiormente uno chef. Proprio questa semplice parola fonda un edificio culturale in cui si relazionano i massimi livelli di serietà, collaborazione e conoscenza. Principi primi, gli stessi, su cui si esplica la formazione dello chef Domenico Giannico.

Proveniente da studi alberghieri il cuoco tranese, basa la sua vita professionale su un connubio concettuale che massimizza nel corso degli anni con la sua brigata: innovazione e tradizione.
“La sfida è sempre attuale! …è sempre quella esistente tra la mia cucina innovativa e la tradizione tramandata dal mio territorio e messa in atto dalla mia famiglia. Innovazione e tradizione sembra una frase fatta, ma viaggiano insieme. S’inseguono e si sorpassano continuamente. Ė la gara più stimolante a cui abbia mai assistito e il bello è che posso godermela ogni giorno!”
Il mio dire era riferito proprio a questo. Dalle parole dello chef emerge una chiara e forte determinazione, che non lascia indugio alcuno sulla personalità professionale del Giannico.
Egli ha ben chiaro come strutturare la sua cucina in senso gustativo e di brigata. Prepone come condizione formativa la dote, base creativa del piatto non solo in termini di sazietà ma anche decorativi. Per lo chef un buon piatto dev’essere curato nell’aspetto però anche nell’unione dei sapori, altrimenti non si può considerare la buona riuscita del lavoro fatto.

Domenico Giannico si pone dunque come garante dell’unione tra innovazione e tradizione, a conferma della cucina impostata secondo un preciso ordine presso il “Lido Bianco”, dove il simbolo culinario tradizionale della cultura popolare, ossia la zuppa di pesce, dev’essere sempre offerta al cliente nella modalità esclusiva scelta dal ristorante, com’egli stesso riferisce nell’intervista.

In questo capitolo dell’Arte in Cucina, noi abbiamo l’occasione di conoscere come il cibo assurga a garanzia del gusto innovativo, ma anche d’uso consuetudinario. Questa scelta dell’offerta costante di una pietanza tipica, che affonda le sue radici nella storia della località è l’emblema del rispetto verso la cultura popolare che il Lido Bianco insieme allo chef Domenico vogliono assicurare.
Rispettare la tradizione culinaria significa curare l’excursus evolutivo di un popolo legato alle proprie radici, poiché è in esse che batte il cuore delle genti. Il piatto tipico non è altro che un suo simbolo.
Concludo, dunque, col principio portante quest’intervista, nonché la cucina proposta dal professionista: il rispetto, quello proprio di un vero chef.

La passione per la cucina, da dove nasce?
A differenza di chi sostiene l’inutilità degli open day scolastici per indirizzare la formazione dei giovani studenti, nel mio caso l’irruzione durante un giorno qualsiasi della terza media, da parte di un professore dell’istituto “A. Moro” di Margherita di Savoia è stata illuminante. Da quel giorno partì la sfida, sempre attuale, tra la mia cucina innovativa e la tradizione tramandata dal mio territorio e messa in atto dalla mia famiglia. Innovazione e tradizione, può sembrare una frase fatta, viaggiano insieme. S’inseguono e si sorpassano continuamente. È la gara più stimolante a cui abbia mai assistito e il bello è che posso godermela ogni giorno.
Il massimo ideale di cucina, intesa come brigata…
Più si è e meglio è, questo è certo. Il numero crescente di collaboratori permette di creare piatti più strutturati partendo da materie prime prodotte in casa. Naturalmente una cucina affollata non è un valore aggiunto se non c’è alla base la lotta per un obiettivo comune, un forte senso di squadra, il rispetto per il ruolo assegnato e per lo chef che guida il team. Ovviamente se tutti tifassero Milan sarebbe meglio, il post derby in cucina con interisti tra i piedi è più efficace dell’arrotino per affilare i coltelli!
La prima sensazione che emanano i tuoi piatti secondo il mio punto di vista, è assoluta grazia, pulizia e, a essere onesta, desiderio di assaggiare la pietanza! Un’ottima dote. Come ci riesci?
Osservare i grandi chef all’opera è stata una parte fondamentale della mia formazione. In particolare il mio mentore Vincenzo Manicone è la persona che ha segnato un punto di svolta nella mia carriera così come tutta la famiglia Cannavacciuolo. Less is more è la mia filosofia, un piatto pulito ma dalle forme decise, colorato e in cui gli ingredienti sono quasi sempre riconoscibili al primo sguardo è il mio metodo. Alla base del processo creativo c’è sempre il gusto, l’occhio vuole la sua parte ma un piatto senza sapore non supera il pass.
Cosa conta di più secondo te nell’esser cuoco?
Capacità, senso del dovere, pazienza, gioco di squadra, creatività. Per rispondere a questa domanda potrei scrivere un manuale pieno zeppo di aggettivi. Non è un lavoro semplice. Se dovessi evidenziare una caratteristica che prima delle altre definisca l’essere cuoco direi che la capacità è la condizione essenziale per la buona riuscita di una carriera in questo settore nonché l’elemento che distingue un amatore da un professionista.
Quali piatti prediligi realizzare?
La mia portata preferita, da buona forchetta e da cuoco sono i primi. In una pranzo o una cena ben riusciti il ricordo più forte è sempre legato ad un primo piatto. Della pasta o riso mi piace la fase creativa, l’adattabilità a ingredienti diversi, differenti sapori, l’azzardo, alla ricerca del match perfetto. Naturalmente le mie origini Tranesi mi condizionano infatti prediligo la lavorazione del pesce.
Cosa ti entusiasma di più dei commensali che assaggiano i tuoi piatti?
Dopo tanta ricerca, lavoro, prove fallite e notti insonne l’idea che qualcuno scelga un tuo piatto e lo giudichi con stupore è la soddisfazione più grande che alimenta il mio lavoro.
Quale reazione miri a ottenere da loro?
Miro all’effetto wow. Trasformare un iniziale scetticismo in una goduria per il palato è il massimo a cui ambire. Nella mia cucina i piatti reinterpretano la tradizione dandole una nuova veste e questo aspetto spesso potrebbe sfiduciare ma, per mia fortuna, al primo assaggio tutto cambia.
Chi è lo Chef?
E’ un punto di riferimento per la brigata, un leader indiscusso, ciò a cui tutti quelli che lavorano in questo settore ambiscono.
Una professione la tua che richiede sacrificio e dedizione, ma non sempre vien apprezzata come merita. Cosa manca in Italia, se manca, che permetterebbe una migliore valutazione della stessa?
Eliminare siti internet come TripAdvisor sarebbe un buon inizio. Dietro ogni singolo piatto, come già detto, c’è un lavoro non indifferente che spesso viene vanificato da commenti poco produttivi volti solo a denigrare e non a costruire nuove forme di confronto. Un altro problema è la televisione piena zeppa di programmi in cui si mostra solo la vista dalla cima della montagna senza mai parlare della scalata per arrivarci. Questo genera la difficoltà di trovare collaboratori che siano disposti a sudare per ottenere un posto in cucina.
Dove lavori attualmente? Cosa ti ha permesso di imparare e cosa vuoi portare nel ristorante attuale invece?
Il ristorante in cui lavoro si chiama “Lido Bianco” ed è tra i più conosciuti di Monopoli. E’ una storia di famiglia, tramandata dal 1947. Il giorno del colloquio mi fu detto, senza tanti giri di parole, che la zuppa di pesce, piatto della tradizione locale era sul menu dal primo giorno e nessuno l’avrebbe potuta cambiare. Ho dovuto imparare a farla alla maniera “Lido Bianco” e devo ammettere, udite udite, che è veramente molto buona. Ciò che vorrei portare è la mia impronta personale, la mia giovane età e le mie esperienze in giro per le cucine d’Italia.
Mi permetto di chiederti…Cosa più ti spaventa al momento attuale della ristorazione? E cosa non ti piace proprio…
Mi spaventa tutto. L’idea di un’altalenanza lavorativa costante ti impedisce trovare gli stimoli per investire in un progetto, in una passione. Le risorse in cucina scarseggiano ma è giusto mettersi nei panni di chi ha dovuto abbassare la saracinesca per molti mesi. L’auspicio è quello che la situazione di profonda incertezza in cui viviamo ci dia tregua e che tutto riprenda il prima possibile a pieno regime.
I ristoranti: da sempre luogo d’incontro, unione e celebrazione di momenti fondamentali della vita. Chiuderli, significa un po’ togliere tutto ciò alle persone. Come stai vivendo da chef questo momento drastico?
Mi dedico alla cucina casalinga con scarso successo, mia madre non lascia lo scettro facilmente. Ne approfitto per studiare, la ricerca è una costante. Programmi televisivi, libri, social, qualsiasi cosa può rappresentare uno stimolo per migliorare ed evolversi appena ci sarà la possibilità di farlo.
RICETTA DELLO CHEF GIANNICO

Zabaione salato al moscato di Trani
100gr burro
100gr tuorlo
100gr moscato di Trani
Sale
In un recipiente inserire gli ingredienti e con l’aiuto di una frusta mescolare a bagnomaria fino ad arrivare ad una temperatura di 80 gradi
Sfilettare lo sgombro, spinare e creare delle piccole darne.
Condire con olio sale e pepe e infornare a 180 gradi per 3 minuti
La cicoria una volta pulita e lavata, farla sbollentare per poi spadellarla con olio, sale, pepe, peperoncino e aglio
Per finire le fave, lasciate in ammollo per una notte, poi semplicemente fritte in olio di semi.
Io Dedico…
Ringrazio tutti quelli che ho incontrato sulla mia strada, Alessandro Frassica con “Ino” a Firenze e l’esperienza di Eataly con Valerio Di Miccoli, ringrazio la famiglia Cannavacciuolo, Filippo La Mantia, i miei soci di Peschef con cui collaboro da ormai 5 anni. La brigata e lo staff del ristorante “Lido Bianco” che mi sopporta e mi supporta. Indispensabile la mia famiglia, mia nonna, gli amici. Il premio nobel per la pazienza va alla mia ragazza Ludovica.

